Il Periodo Italiano
Nell'Italia devastata dalle guerre che
vedevano protagonisti l'Impero, la Francia, il Papato e la Repubblica di
Venezia, Agrippa fu per qualche mese al servizio di Massimiliano I.
Quando Luigi XII indisse in settembre il concilio di Pisa, che avrebbe
dovuto riformare la Chiesa e deporre papa Giulio II, Agrippa fu invitato
dal cardinale Bernardino López de Carvajal, animatore del concilio, a
parteciparvi in qualità di teologo: è possibile che egli abbia
partecipato alla quarta sessione conciliare, tenutasi a Milano nel
gennaio 1512. Passò poi a Pavia
per continuare i suoi studi, come testimonia una sua lettera del 30
aprile, in cui loda ad un amico la scienza della cabala. Anche qui lo
raggiunse la guerra: il 30 giugno fu fatto prigioniero dagli svizzeri e
condotto a Milano, dove si riscattò. Seguirono una serie di viaggi: dopo
il ritorno in agosto a Pavia, passò in novembre a Casale, presso il marchese Guglielmo IX poi, nel 1513 a Borgolavezzaro; nella primavera del 1514 fu a Milano, poi a Roma e di qui a Brindisi, finché nel 1515 tornò ancora a Pavia, dove si sposò, ebbe un figlio e fu nominato professore di quella prestigiosa Università. Vi commentò il Pimandro, attribuito a Ermete Trismegisto, testo greco scoperto il secolo precedente in Macedonia dal domenicano Leonardo da Pistoia e, da lui portato in Italia, fu tradotto in latino da Marsilio Ficino nel 1463.
La nuova filosofia neoplatonica tendeva ad accordare ermetismo e
cristianesimo ed anche Agrippa non si sottrasse a questa
interpretazione. Con la calata dei francesi, la guerra si riaccese in Lombardia fino alla vittoria di Francesco I a Melegnano
nel settembre del 1515. Nuovamente Agrippa dovette fuggire a Milano e
ancora una volta i mercenari svizzeri gli saccheggiarono la casa.
Tornato a Pavia per riprendere la moglie e il figlio, con loro si
stabilì a Casale dove scrisse, dedicandoli al marchese del Monferrato, il Dialogus de homine qui Dei imago est (Dialogo sull'Uomo immagine di Dio) e il De triplice ratione cognoscendi Deum, (I tre modi di conoscere Dio) che mandò a un certo Agostino, suo amico, che gli rispose facendogli grandi lodi.
I tre modi di conoscere Dio secondo Agrippa sono: l'osservazione della
natura, la lettura degli scritti profetici e del Nuovo Testamento. Egli
definisce in particolare la Cabala Ebraica l'interpretazione della Legge trasmessa oralmente da Dio a Mosè e da
questi, ancora oralmente, ad altri settanta saggi i quali a loro volta
l'avrebbero ripetuta ad altri sapienti: dalla Cabala, che dunque
costituisce la vera tradizione esoterica, si può pertanto risalire alla
completa conoscenza di tutte le cose, naturali e divine.
La «strega» di Woippy
Partì nel febbraio 1517 per Torino, ove fu lettore di teologia all'Università e nel maggio si trasferì a Chambéry per assumere la carica di medico del duca Carlo II di Savoia, che lasciò tuttavia il 16 gennaio 1518, avendo accettato l'offerta di consigliere fattagli dalla città di Metz, dove entrò in rapporto con altri cultori dell'ermetismo, come Claude Chansonnet - latinizzato in Claudius Cantiuncula - o il celestino Claude Dieudonné, ma si fece anche dei pericolosi nemici: l'occasione fu il caso di una donna del vicino paese di Woippy, fatta imprigionare da un gruppo di contadini con l'accusa di stregoneria. La ragazza era stata rapita dagli sgherri degli inquisitori francescani che volevano soddisfare con lei la loro lussuria: “Al principio dell'affare - scrive Agrippa in una lettera al suo amico Cantiuncula - un branco ignobile di contadini congiurati contro di lei ne invase la casa nel mezzo della notte. Questi depravati ubriachi di vino e di concupiscenza s'impadronirono della sventurata e di loro privata autorità, senza alcun diritto, senza mandato giudiziario, la gettarono nelle segrete di un loro palazzo. Ciononostante i signori del capitolo la fecero condurre a Metz e la consegnarono nelle mani del loro giudice ordinario, l'ufficiale della curia episcopale. Venne stabilito un termine entro cui i contadini motivassero le loro azioni e queste canaglie ebbero l'audacia di denunciarla. In soli due giorni tanto poté prevalere l'iniquità degli inquisitori e della banda di poco di buono che l'ufficiale che l'aveva in custodia la consegnò per alcuni fiorini nelle mani dei suoi accusatori, la denuncia di quattro dei quali era già stata respinta in quanto noti delinquenti. La poveretta fu allora trasferita con l'aggiunta di insulti e bastonate, come si poté provare con testimoni. Così, detenuta in un carcere più che ingiusto, prostrata dalle molte ingiurie, non trascorse neppure una notte tranquilla, con gli accusatori liberi di godersela col vino e nell'orgia." Agrippa prese le difese della donna e narrò lui stesso l'episodio nelle sue lettere. L'inquisitore, il domenicano Nicola Savini, e l'ufficiale della curia vescovile, Jean Léonard, la fecero torturare, ma «quale motivo allega quest'inquisitore senza pietà per martirizzare così quella disgraziata? Quale prova dà egli che questa donna sia realmente una strega? Dice che sua madre è stata bruciata come strega; e io gli dico in faccia che i fatti degli altri non hanno valore contro un accusato [...] pretende che le streghe hanno l'abitudine di consacrare il frutto del loro ventre al diavolo e che, d'altra parte, siccome ordinariamente esse si danno al diavolo, questi è certamente il padre dei suoi figli ai quali trasmette la sua malizia».E rivolgendosi all'inquisitore: «Con la tua perversa dottrina, tu misconosci la virtù del battesimo [...] tu, inquisitore della fede, con tutti i tuoi argomenti, non sei che un eretico». Il Savini, a sua volta, accusò di eresia l'Agrippa: la morte dell'ufficiale della curia, che fece in tempo a rilasciare una dichiarazione giurata con la quale riconosceva l'innocenza della donna, pose fine al processo.
Fra eresia, farmacisti e congiure
Una nuova violenta polemica vide però coinvolto Agrippa. Egli prese le difese dell'umanista evangelico Jacques Lefèvre d'Étaples, che sosteneva che sant'Anna avesse avuto una sola figlia,
Maria, e non tre, come sostenuto dalla Chiesa. Additato come eretico a
tutta la città dal priore domenicano Claudio Salini, professore alla Sorbona, il 25 gennaio 1520 egli preferì lasciare Metz e fare ritorno a Colonia.Un anno dopo, nel
1521, sua moglie morì. Solo con il figlioletto di quattro anni, Agrippa
si recò allora in Olanda, a Gent, dove lavorò come medico e si sposò per
la seconda volta. La moglie, una ragazza di famiglia facoltosa, gli
avrebbe regalato ben sei figli. Nel frattempo Agrippa era divenuto
direttore dell’ospedale cittadino di Gent. Una persona benvoluta e
rispettata. Forse sarebbe dovuto rimanere nella città olandese, là dove i
cittadini apprezzavano il suo lavoro. Ma l’inarrestabile mago si decise
invece per la Svizzera. Nel 1523 lo troviamo a Freiburg, dove operava
come medico e si dedicava all’occultismo. Anche questa sarebbe potuta
essere la situazione ideale, se… il suo buon cuore non lo avesse portato
dritto dritto alla rovina. Il fatto è che Agrippa curava le persone
povere gratuitamente oppure somministrandogli medicine e rimedi in base
alle sue ricette personali, e questo non piaceva ai farmacisti. Così
medici e farmacisti della cittadina svizzera di Gent si unirono contro
di lui boicottando il suo lavoro. Agrippa non ebbe altra scelta che dare
le dimissioni e andarsene altrove. Arrivò nel 1524 nella città
francese di Lione e divenne medico personale di Luisa di Savoia, madre
del re di Francia, Francesco I. Un altro suo trattato vide la luce due
anni dopo, il “Declamatio de sacramento matrimonii”. Finalmente una
situazione favorevole e duratura? No, nemmeno questa volta. A dispetto
delle gioie matrimoniali del mago, la sua retribuzione a Corte era
scarsa, irregolare. Agrippa protestò. Si formò una congiura contro di
lui. A ciò si aggiunse uno spiacevole incidente: la reggente Luisa di
Savoia gli chiese un oroscopo per il figlio Francesco I e il mago, dopo
iniziale reticenza, ne presentò uno in cui prevedeva in guerra la
vittoria del nemico, la dinastia dei Borbone. Ormai era chiaro che il
suo incarico a Corte era giunto alla fine.Dannato per sempre
Le
peregrinazioni ripresero. Parigi, Anversa. Qui la sua seconda moglie
morì di peste. Olanda. Finalmente, nel 1530, Agrippa poté vedere
pubblicate alcune sue opere, tra cui “De occulta philosophia” e “De
incertitudine et vanitate scientiarum”, che si diffusero subito in tutta
Europa. Quella che sarebbe potuta essere una cosa positiva, divenne
invece la rovina del mago. Infatti il secondo libro attaccava con
violenza la situazione politica e religiosa dell’epoca, di conseguenza
anche le caste del clero e dei funzionari di Stato. E il clero reagì,
bollando l’opera “De incertitudine” come scritto eretico. A quel punto
l’imperatore Massimiliano, preoccupato, ordinò ad Agrippa di ritirare
dal libro almeno le critiche mosse contro la Chiesa. Ma il mago era
evidentemente una testa dura e rifiutò. E perse di nuovo, per l’ennesima
volta, lavoro e salario. Malgrado l’avvertimento del celebre Erasmo da
Rotterdam, che lo sconsigliò nel perseverare nella critica, Agrippa
rimase sulla sua posizione. Nel dicembre 1530 fu arrestato a Bruxelles e
gettato in carcere. Lo lasciarono libero soltanto a condizione che se
ne andasse subito dalla città. L'agitazione religiosa prodotta dalle nuove idee riformate aveva investito anche Colonia e nel 1529 due «eretici» luterani, Peter Fliesteden e Adolf Clarenbach, erano stati bruciati sul rogo e lo stesso arcivescovo della città, Hermann von Wied, finì per passare alla Riforma protestante.
Agrippa non prese pubblicamente posizione, non si sa se fu soltanto per
prudenza o perché, come sembra più probabile, egli non aderisse alla
Riforma, in quanto la sua visione della religione restava lontana da
entrambe le confessioni cristiane. Agrippa ebbe parole di ammirazione per Lutero già nel De incertitudine, che ribadì ancora a Melantone, quando scrisse da Francoforte, nel settembre del 1532,
di salutargli Lutero «il grande eretico invitto, che come dice Paolo
negli Atti, serve Dio secondo la setta che chiamano eresia». Si tratta di una stima riservata a un combattente coraggioso che non si
estende necessariamente alle idee da lui professate e del resto Calvino non mancherà di condannare Agrippa, nel suo Traité des scandales (1550), rimarcando la distanza che lo poneva dalle confessioni riformate. Gli ultimi anni
In questi ultimi anni è con lui, a Bonn, il giovanissimo Johann Wier, il discepolo che ne continuerà l'opera e ne difenderà la memoria. Ai primi del 1535
Agrippa si recò a Lione ma vi fu presto imprigionato, non si sa se per
le vecchie accuse di aver diffamato la madre di Francesco I, Luisa di
Savoia, o a conseguenza della condanna al rogo del suo De incertitudine,
emessa dai teologi della Sorbona il 2 marzo di quello stesso anno.
Rimesso tuttavia in libertà, pensò bene di allontanarsi dalla città,
stabilendosi a Grenoble,
dove morì pochi mesi dopo. Fu sepolto nella chiesa domenicana della
città ma il fanatismo connesso alle guerre di religione che
imperversarono a lungo in Francia non risparmiarono la sua tomba e i
suoi resti andarono dispersi. Tornato in Svizzera, l’irriducibile
Agrippa si sposò per la terza volta. Nel frattempo la sua opera “De
incertitudine et vanitate scientiarum” fu tacciata d’eresia anche
dall’Università della Sorbona. Nel 1532 Agrippa si rifugiò a Colonia,
sotto la protezione dell’arcivescovo Hermann von Wied. Il mago morì tre
anni dopo, a Grenoble. Aveva appena 48 anni. Sulla sua tomba uno
sconosciuto scrisse un epitaffio maligno che collocava Agrippa nell’Ade e
paragonava il suo cane nero al terribile Cerbero, mostro infernale. I
tre figli dell’occultista, gli unici sopravvissuti dei sette, cambiarono
cognome. Agrippa di Nettesheim era divenuto ufficialmente il compagno
di Satana. Fu forse per questo che ispirò a Goethe la tragedia del
„Faust“?
Un personaggio unico, insomma, che si discosta dalla
marea dei maghi di Corte compiacenti e lecchini. Un uomo di carattere,
forse anche un po’ troppo di carattere. Uno che mise spesso a dura prova
la pazienza della Dea bendata. Ma anche un avventuriero da romanzo,
instancabile viaggiatore, studioso pertinace, uomo di buon cuore,
psicologo ante litteram. “De occulta philosophia”, oggi più che mai il
simbolo di tutti i maghi del mondo, rimane un’opera insuperata, che
l’occultista Hans Biedermann definì “una sintesi di cristianesimo e
magia sulla base della mistica neoplatonica”. E questo in un’epoca in
cui il magus era uno studioso universale e, come scriveva Agrippa, la
scienza magica era “la filosofia più perfetta ed elevata, la perfezione
assoluta della filosofia stessa.”
Vai alla parte 1 : Cornelio Agrippa - Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim Parte 1
Vai alla parte 2 : Cornelio Agrippa - Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim Parte 2
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