Una civiltà e il suo fiume
Un dono del Nilo
Le prime grandi civiltà ebbero due centri: uno fu la Mesopotamia, l’altro l’Egitto. La civiltà egizia, proprio come quella mesopotamica, è una civiltà urbana che si sviluppa attorno ad un fiume: il Nilo.
Il grande storico greco Erodoto (V secolo a.C.), cui si deve la prima descrizione dell’Egitto e della sua cultura, scrisse che l’Egitto è un «dono del Nilo». Per rendersi conto della verità di questa affermazione basta guardare una carta geografica: gli insediamenti umani sono quasi tutti concentrati lungo le sponde del fiume o nelle immediate vicinanze, mentre il resto è un grande mare di sabbia punteggiato da qualche oasi.
A poco a poco gli Egizi impararono a regolamentare il corso del fiume, arginandolo, scavando canali per irrigare le terre più lontane. Questo lavoro durò circa 3000 anni ma, alla fine, la loro fatica fu premiatae in quella regione si sviluppò una delle più grandi civiltà del mondo antico.Il Nilo era considerato dagli Egizi una divinità perché era lui che dava la vita. Il limo infatti,cioè il fango che egli lasciava sul terreno con i suoi straripamenti, rendeva le terre estremamente fertili tanto che gli Egizi erano convinti che gli uomini fossero stati impastati con il fango del Nilo.
Il percorso del fiume e la vita sulle sue sponde
Il fiume Nilo nasce dai grandi laghi equatoriali dell’Africa e dalle montagne dell’Etiopia e scorre in direzione nord, verso il Mediterraneo. Per un primo tratto, il suo corso è tumultuoso, ma a circa 1200 km dal mare, superata l’ultima cateratta, il fiume scorre lento e maestoso, con la sua corrente fangosa, fino al delta, dove si frammenta in numerosi bracci. Nella Valle e nel Delta (che vengono anche defìniti come Alto Egitto e Basso Egitto) si trova il terreno irrigabile dal fiume per mezzo di canali, e dunque col-tivabile. Si ripeteva, in questa regione, una situazione analoga a quella che abbiamo descritto a proposito del Tigri e dell’Eufrate .I ritmi dell’annoIl Nilo, tuttavia, è un corso d’acqua molto più regolare del Tigri e dell’Eufrate: alimen-tata dalle abbondanti piogge dell’Africa subtropicale e dallo scioglimento delle nevi degli altopiani etiopici, l’inondazione avveniva con sorprendente puntualità nel mese di giugno. Dapprima si verificava un lento processo d’infiltrazione, che inumidiva dal di sotto i terreni arabili. Ma verso la metà di luglio accadeva un vero e proprio straripamento del fiume che ricopriva le terre circostanti sotto due metri d’acqua. A partire dalla metà di settembre il fenomeno assumeva un andamento inverso: le acque si ritiravano e, verso la fine di ottobre, il Nilo rientrava nel suo letto lasciando tutto intorno un suolo ben umidificato e soprattutto ricco di sali minerali e di detriti organici, preziosi fertilizzanti per la coltivazione.I prodotti agricoliIn Egitto si coltivavano cereali come l’orzo e il frumento; legumi come le lenticchie e i fagioli; ortaggi; alberi da frutto come la vite, i fichi, i datteri. Rinomata era la finezza del lino egizio, mentre dalla pianta del papiro si ricavavano funi e stuoie, scato-le, sandali, imbarcazioni leggere. Lo stelo di questa pianta, opportunamente lavorato, forniva il materiale per scrivere più diffuso nell’antichità: la “carta” degli antichi.
Un fiume regolare e generoso come il Nilo dava l’impressione agli altri popoli antichi che gli Egizi fossero davvero gente privilegiata, nutrita quasi spontaneamente da una natura mite e benevola. Ma la vita concreta dei contadini egizi era ben diversa da questa immagine così rasserenante. Anzitutto, se è vero che l’inondazione aveva ritmi regolari, è anche vero che il suo volume poteva variare da un anno all’altro in conseguenza di fattori climatici. Poteva essere troppo scarsa e irrigare solo una parte delle terre coltivabili, provocando gravi carestie; oppure troppo abbondante e distruggere uomini, animali, abitazioni. Naturalmente un governo efficiente poteva limitare l’entità di questi danni, soprattutto grazie all’accumulo di scorte e ad altre misure di prevenzione. Ma anche quando l’inondazione era regolare, nulla era possibile senza la grande fatica dei contadini.Nelle settimane successive al ritiro dell’inondazione era necessario pro-cedere rapidamente e con un impegno massacrante: bisognava zappare, arare, seminare, ricostruire argi-ni, dighe, canali, bacini di raccolta, e fare tutto questo finché la terra rimaneva umida e fangosa, prima che i raggi infuocati del Sole la inaridissero, impedendo così di lavorarla. Il raccolto avveniva nella primavera successiva e comportava di nuovo l’impegno intenso della manodopera contadina.I contadini vivevano in capanne fatte di fango, di canne e di foglie di palma, addossate l’una all’altra, abitate da uomini e animali domestici. Queste condizioni di vita, che si accompagnavano a un’alimentazione povera e squilibrata, producevano molte malattie e ne facilitavano la propagazione.Ma queste precarie condizioni di vita erano aggravate da uno stato di asservimento quasi totale. Per garantire il funzionamento del sistema d’irrigazione le autorità pubbliche obbligavano i contadini a effettuare i lavori necessari alla rete di irrigazione (scavare canali, costruire ar-gini e dighe), secondo piani ben prestabiliti; e spesso una parte dei raccolti veniva requisita per accantonarla in previsione di eventuali carestie. Le tasse, ri-scosse periodicamente dal potere centrale, erano un vero e proprio incubo; chi non le pagava finiva in prigione e subiva dure punizioni corporali.
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