Agrippa di Nettesheim era mago per natura. Ci sono individui che sembrano avere una tendenza innata per l’occulto, la magia, l’inesplorato. Sono di casa in altri mondi. Più che un talento, la loro è una vocazione. Come Agrippa. Ma l’occultismo non gli portò fortuna. Nemmeno un mago può decidere il proprio destino. La vita di Agrippa fu un’altalena di conquiste e perdite, fortune e sfortune. Forse proprio questo lo rende particolarmente simpatico.
Medico, teologo, alchimista, giurista, astrologo, filosofo. Come si può definire quest’uomo? Agrippa possedeva quella “conoscenza universale” tipica del Rinascimento.Heinrich nacque il 15 settembre 1486 a Colonia nella famiglia Cornelis.
Il soprannome di Agrippa, derivato dall'antico nome latino della sua
città, Colonia Agrippina, fu assunto dal padre e trasmesso ai figli. Col
tempo, Heinrich latinizzò il proprio cognome in Cornelius e, vantando
dubbie origini nobiliari, si fece chiamare Agrippa von Nettesheym, dal
nome di un villaggio presso Neuss, non lontano da Colonia. Apprese
le prime nozioni di astrologia dal padre e studiò arti liberali nelle
scuole di Colonia, diplomandosi maestro di arti nel 1502. Intorno ai
vent'anni andò a Parigi per frequentarvi l'Università ed entrò a far
parte di un circolo di studenti, fondato da un italiano di nome
Landolfo. Questo gruppo si dedicava allo studio delle scienze ermetiche
e, poiché tale attività poteva dar luogo a sospetti e persecuzioni, il
circolo aveva tutte le caratteristiche di una società segreta, di cui
Agrippa, in virtù della sua grande erudizione, divenne ben presto il
personaggio più influente ed ascoltato.
Fra cabala e spada: gli anni di fuoco
Fu un grande occultista e scrisse un’opera che, accanto a elementi propri della magia antica, presenta già rudimenti psicologici moderni: “De occulta philosophia”. Probabilmente senza saperlo Agrippa fu un grande innovatore, ma i frutti delle sue scoperte li raccolsero i seguaci. Il suo nome completo era Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim. Nacque nel settembre 1486 a Colonia, da famiglia nobile impoverita. Sappiamo che nel 1499 si immatricolò all’università della città tedesca e studiò Latino, Astrologia, Teologia, Cabala, Medicina, Meccanica, Ottica e Geometria. Nel 1502 – 1503 si recò a Parigi e dalle sue lettere, scritte quattro anni dopo nella capitale francese, possiamo dedurre che conobbe personalità illustri, come il filosofo Charles de Bouelles, il teologo Germain de Brie e l’avvocato artista Jean Perréal. E fu qui, a Parigi, che Agrippa praticò i primi esperimenti d’alchimia. Al centro dei suoi studi filosofico-esoterici vi erano Platone e i neoplatonici e anche l’universo segreto della cabala. In particolare lo affascinava il “Sohar”, redatto nel XIII secolo dall’ebreo spagnolo Mosè de Leon. Divenne medico personale di Luisa di Savoia nonché storiografo di Carlo V; ritenuto principe dei maghi neri e degli stregoni, riuscì tuttavia a sfuggire all'Inquisizione.
Il suo pensiero risiede essenzialmente nella sua opera più importante, il De occulta philosophia, scritta nell'arco di circa venti anni, dal 1510 al 1530: la filosofia occulta è la magia, considerata «la vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta, in una parola la perfezione e il compimento di tutte le scienze naturali». Nel 1508, insieme a Landolfo, andò in Spagna, mettendosi a servizio militare del re Ferdinando: dopo qualche mese, guadagnato per i suoi meriti - così almeno egli sostiene - il titolo di cavaliere, s'imbarcò da Valencia per approdare, dopo un viaggio avventuroso, in Francia e stabilirsi alla fine dell'anno ad Avignone. Di qui scrisse a Landolfo, che si trovava a Lione: «Dopo queste terribili prove, non ci resta che ricercare i nostri amici per rinnovare i sacramenti della nostra congiura e ristabilire l'integrità della nostra associazione»
(Epistolae I, 8, 20 dicembre 1508)
Landolfo gli rispose il 4 febbraio 1509, proponendogli l'affiliazione di un tedesco di Norimberga residente a Lione, descritto come un «curioso indagatore degli arcani della natura [...] lancialo dunque per provarlo nello spazio e, portato sulle ali di Mercurio, vola dalle regioni dell'Austro a quelle dell'Aquilone, prendi anche lo scettro di Giove [...] e associalo nella nostra confraternita». Mercurio, o Ermes, è la guida ai misteri, e il volo dall'Austro all'Aquilone è il passaggio necessario all'iniziazione del profano.
Per questo motivo Agrippa si recò a Lione, poi andò ad Autun e di qui a
Dole, nella Franca Contea, allora governata, con la Borgogna e i Paesi
Bassi, da Margherita d'Asburgo, zia di Carlo, il futuro imperatore
allora giovanissimo e ancora sotto tutela. A lei Agrippa dedicò il De
nobilitate et praeecelentia foeminei sexus (Nobiltà e preminenza del
sesso femminile) un trattatello, che verrà stampato venti anni dopo ad
Anversa, nel quale egli sostiene la superiorità della donna ; anche
l'esser stata creata dopo l'uomo è motivo di maggior perfezione e il
corpo femminile, secondo lui, galleggia in acqua più facilmente. Inoltre
la donna è più eloquente e più giudiziosa tanto che «filosofi,
matematici e dialettici, nelle loro divinazioni e precognizioni sono
spesso inferiori alle donne di campagna e molte volte una semplice
vecchietta ne sa più di un medico». Agrippa, nel tenere la
sua declamazione in lode del sesso femminile, aveva colto l'occasione
per ribattere e negare davanti a tanto uditorio quanto espresso nel
sesto capitolo del primo libro del Malleus maleficarum - il manuale
dell'Inquisizione voluto e approvato da papa Innocenzo VIII appena
venticinque anni prima. Nel Malleus si afferma infatti che le donne, per
via del loro “intelletto inferiore”, sono per natura predisposte a
cedere alle tentazioni di Satana, argomentando con un'etimologia falsa,
secondo la quale la stessa parola “'femmina' viene da 'fede' e 'meno'
perché la donna ha sempre minor fede e la serba di meno”. Citando le
stesse fonti e gli stessi episodi dei due inquisitori domenicani, ma
dando delle medesime questioni (in particolare del ruolo di Eva al
momento del peccato originale) interpretazioni diametralmente opposte, Agrippa
aveva deciso di confutare l'opinione teologica sull'inferiorità della
donna. Egli vi opponeva una visione ermetico-neoplatonica, secondo la quale “Fra
tutte le creature non v'è spettacolo così meraviglioso, né miracolo
tanto riguardevole, al punto che si dovrebbe essere ciechi per non
vedere chiaramente che Dio radunò tutta la bellezza di cui è capace
l'intero universo e la diede alla donna, acciò che ogni creatura abbia
buone ragioni per stupirsi di lei e riverirla ed amarla.”
Col
difendere la dignità delle donne egli inoltre aveva espresso la sua
adesione a una corrente, avviata circa un secolo prima, che a buon
diritto si può definire “femminista” ante litteram, di cui si trovano
tracce in Francia e alla corte di Borgogna (Christine de Pizan), ma
anche in Spagna (Juan Rodríguez del Padrón) e Italia, rivendicando per
loro i diritti all'istruzione e alla libera attività professionale,
ovvero alla conoscenza e all'indipendenza economica: “Ma prevalendo
la licenziosa tirannia degli uomini sulla giustizia divina e sulla legge
naturale, la libertà accordata alle donne è oggi loro interdetta da
leggi inique, soppressa dalla consuetudine e dalle usanze e totalmente
cancellata fin dall'educazione, perché la femmina appena nata e nei
primi anni di vita è tenuta in casa nell'ozio, e, quasi che ella non sia
adatta a più alte occupazioni, non le è permesso nient'altro che badare
all'ago e al filo; quando sarà giunta all'età del matrimonio sarà
affidata alla forza e alla gelosia del marito, oppure sarà rinchiusa
nella perpetua prigione di un monastero di monache. Tutti gli uffici
pubblici le sono proibiti dalle leggi. Non le è concesso di intentare
un'azione legale malgrado sia prudentissima. Inoltre è esclusa dal
giudicare, dagli arbitrati, dall'adozione, dalla intercessione, dalla
procura, dalla tutela, dalla cura, dalle cause criminali e
testamentarie. E pure le è vietato di predicare la parola di Dio, il che
è assolutamente contrario alle scritture.”
Il mago filosofo incontra l’Abate Nero
Nelle città di Lione e
Autun trovò un impiego come insegnante alle rispettive università,
tenne poi delle conferenze a Dole e Besançon. Il tema: la cabala, in
particolare il sistema di Johannes Reuchlin. I successi si susseguirono.
Soprattutto a Dole Agrippa trovò molti seguaci. Gli fu assegnato un
dottorato in Teologia e uno stipendio. Si profilò la possibilità di
diventare un protetto di Margherita, principessa d’Asturia e figlia
dell’imperatore Massimiliano I. Sembrava cristallizzarsi un periodo
tranquillo. Invece i religiosi lo guardavano storto. E fu un irascibile
francescano, durante una predica, a puntare il dito contro di lui dal
pulpito della chiesa e a tacciarlo d’eresia con voce tuonante. Purtroppo
questo zelante monaco, un certo Jean Catilinet, era il proprio il
predicatore di Corte di Margherita d’Austria. La pubblica accusa rovinò
la reputazione di Agrippa e il mago fu costretto a lasciare la Francia.
Partì alla volta dell’Inghilterra.
Sempre nel 1509, fu invitato dall'Università di Dole a commentare il De
verbo mirifico del Reuchlin, nel quale l'umanista di Pforzheim univa,
secondo gli insegnamenti ricevuti a Firenze, la tradizione cabalistica
al neoplatonismo cristiano. Fu così che l'eco delle lezioni tenute da
Agrippa pervenne fino al francescano Jean Catilenet, del vicino convento
di Gray, il quale da Gand, durante la Quaresima del 1510, lo accusò di
diffondere eresie giudaizzanti. Prudentemente, Agrippa decise di
lasciare Dole per l'Inghilterra, avendo forse ricevuto dall'imperatore
Massimiliano I un «incarico riservatissimo» da svolgere presso il re
Enrico VIII. Egli si stabilì a Oxford, ospite dell'umanista,
amico di Erasmo, John Colet, allievo di Marsilio Ficino e lettore
nell'Università. Qui scrisse la sua risposta al Catilenet, l'Henrici
Cornelii Agrippae expostulatio super expositione sua in libro De verbo
mirifico, stampata nel 1529, accusando il frate di non conoscere la
scienza ebraica, e di aver mancato di confrontarsi direttamente e
«cristianamente» con lui. In Inghilterra continuò anche a
lavorare alla sua De occulta philosophia, della quale aveva già mandato
in visione i primi due libri a Giovanni Tritemio, già abate del
monastero benedettino di Sponheim e ora a Würzburg, accompagnandoli con
una lettera nella quale si chiedeva perché mai la magia
«così
altamente stimata dai filosofi antichi, venerata nell'antichità da
sapienti e poeti, era divenuta nei primi tempi della religione sospetta e
odiosa ai Padri della Chiesa ed era stata ben presto respinta dai
teologi, condannata dai sacri canoni e proscritta dalle leggi [ ... ]
l'unica causa è stata la depravazione dei tempi e degli uomini, grazie
alla quale pseudo-filosofi, maghi indegni di questo nome, poterono
introdurre esecrabili superstizioni e riti funesti [ ... ]e infine
pubblicare quella quantità di libri che da per tutto circola e che va
condannata, indegna del molto rispettabile titolo di magia [ ... ] così,
ho ritenuto che sarebbe stata opera lodevole restaurare l'antica magia,
la dottrina dei sapienti, dopo averla purgata degli errori di empietà e
averla costituita su solide fondamenta»
(Epistolae, I, 23)
Tritemio gli aveva risposto di stupirsi «che
tu, così giovane, abbia penetrato tali segreti, ignoti a tanti uomini
istruiti, e li abbia esposti non solo in modo chiaro e preciso, ma anche
con proprietà ed eleganza esortandolo a «dare fieno al bove e zucchero
al pappagallo», cioè a non divulgare a tutti i risultati dei suoi studi, ma soltanto a chi fosse in grado di comprenderli.
Agrippa, tornato per un breve periodo a Colonia, nel 1511 partì per l'Italia, dove sarebbe rimasto sette anni.
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