Heka : La Magia degli Antichi Egizi


La magia nell’antico egitto era chiamata heka.  

Per gli egizi l’heka era un regalo degli dei, una manifestazione usata anche dalle divinità. Questa magia era la prima emanazione del dio demiurgo Atom-Ra. Sin dal primo millennio a.C., il suo nome geroglifico è seguito dal segno “dio” e sulla testa appare il posteriore di un leone con un valore fonetico di “forza e “potenza”. Il dio Heka fa parte dell’equipaggio della nave di Ra, la quale naviga nel mondo sotterraneo nel suo navigare quotidianamente nella notte.

La mitologia egizia fa un largo uso di incantesimi e scongiuri, ed è profonda conoscitrice della dottrina dei nodi, utili per manipolare la realtà e piegarla al nostro volere. Heka era in Egitto il dio della magia, e non ci sorprende che il suo nome somigli così tanto a quello della greca Hekate, dea lunare a sua volta connessa con gli incantesimi e le stelle

La magia egiziana risale al tempo in cui gli abitanti pre-dinastici e preistorici dell'Egitto credevano che la terra, l'inferno, l'aria e il cielo fossero popolati da innumerevoli creature, visibili ed invisibili, che venivano considerate favorevoli o ostili all'uomo a seconda se le azioni della natura, cui si credeva che esse presidiassero, gli fossero favorevoli o sfavorevoli. Lo scopo principale della magia consisteva nel dare all'uomo predominio sopra questi esseri. Il favore di quegli esseri che si mostravano miti e favorevoli all'uomo poteva essere ottenuto tramite doni o offerte, ma la cessazione delle ostilità da parte di coloro che si mostravano implacabili e ostili si poteva ottenere solo con moine e lusinghe oppure usando un amuleto, un nome segreto, una formula magica, un'immagine o un'icona che avevano l'effetto di portare in aiuto del mortale che la possedeva la potenza di un essere più forte di quello nemico, che aveva minacciato di fargli del male. 

In alcuni documenti, dopo una diagnosi grave, non essendoci più rimedio il malato esclamava:

“Sono io quello che tu, (nome della divinità) vuoi che rimanga in vita!”

La magia ufficiale era esercitata da medici sacerdoti di alto rango. Uno di questi era Jaemuset, grande maesto di Path e figlio di Ramesse II. La dea patrona dei medici era la dea leonessa Sekmeth. Nel periodo delle inondazioni proliferavano una grande quantità di insetti e batteri. Questo faceva scatenare molte malattie nel delta del Nilo. Queste epidemie venivano attribuite a Sekhmet che, trasformandosi in venti maligni, attaccavano le persone deboli. Chi poteva generare il male, poteva anche distruggerlo, perciò i sacerdoti e i medici di Sekhmet facevano cerimonie in lode alla dea, chiedendo di intercedere per la salute del popolo e per i singoli malati.

Il potere dell’heka con le offerte alimentari che venivano rappresentate sulle pareti delle tombe, le faceva assimilare, trasformandosi nel ka del defunto. La magia risiedeva anche nelle parole pronunciate, nella scrittura e nelle statue. Nei Testi delle Piramidi è riscontrabile la presenza della magia. Le scoperte archeologiche hanno fatto scoprire figurine di ispirazione magica. 

In Nubia sono sta rinvenute immagini di argilla rappresentanti nemici con le mani legate. Questi artefatti di argilla avevano spesso il nome della tribù di appatenenza con il corpo ricoperto di scritte minacciose e insultanti. Per agire contro minacce astratte, ci si basava sul visualizzare il male di cui si era minacciati. Il mago immaginava il pericolo sotto forma di nemico incapace di agire, piegato e con le mani dietro la schiena. Poi veniva modellata la figurina e raggiunta una forma umana, venivano recitati sortilegi di odio e disprezzo. Veniva poi seppellita, senza distruggerla, per evitare che i frammenti che erano ancora pericolosi potessero ancora fare del male. Il modo più forte per distruggere tutte le forme del male, era il fuoco. In tal senso, specie in epoca greco-romana, le figurine venivano modellate in cera vergine, e dopo i riti, venivano sciolte nelle fiamme.

Pietre magiche o amuleti 

Gli amuleti erano artefatti a cui si attribuivano poteri magici. Si può affermare che per tutta la civiltà faraonica, i gioielli potevano essere considerati amuleti per difendersi dal male.

Gli amuleti venivano incastonati in anelli, bracciali o collane e caratterizzavano lo stato sociale dei loro proprietari. Le pietre preziose non erano per tutti. Chi non se li poteva permettere utilizzava ceramica invetriata, imitazione delle pietre originali. L’amuleto andava attivato. Venivano pronunciate delle formule misteriose da parte dei sacerdoti che caricavano di energia i talesmani creati. Una grande importanza per l’amuleto era il colore.

Quelli di colore verde evocavano la rinascita, da associare al esiderio che come la natura, anche i defunti nascessero a nuova vita. Questo colore fu molto usato nelle statuette funerarie (ushabti), con l’intento di potenzire le possibilità di rinascita. Altro amuleto era il nododi Iside o tyet. Collegato alla spina dorsale di Osiride djet e al suangue mestruale di Iside. Veniva modellato con cornalina rossa o in faience dello stesso colore. Il rosso rappresentava il cuore, l‘ib. Altri amuleti dal colore giallo erano associati con il Sole.

Miti e Magia

Nei miti che ci narrano della grande lotta tra Horus e Seth o dello struggente amore tra Iside e Osiride, troviamo spesso gli hekau utilizzati per risolvere un problema. Il dio che li insegna ad Iside e che appare sempre come saggio consigliere e risolutore di conflitti è Thoth, il dio dalla testa d’ibis. 

L’Occhio di Horus
 
Durante la sua battaglia contro il feroce Seth, Horus perse un occhio e, cieco e disperato, chiese l’aiuto del saggio ibis. Questi mandò le altre divinità a cercarlo e sospirò amaramente quando scoprì che l’occhio si era ormai rotto in ben sessantaquattro parti. Thoth però era il dio della conoscenza e quindi non si arrese, anzi, si mise subito all’opera, ricostruendolo grazie ai suoi potenti incantesimi.

Nell’antico Egitto, il geroglifico dell’Occhio di Horus veniva suddiviso in 6 parti: ciascuna era una frazione dell’occhio intero e rappresentava non solo un’unità di misura utilizzata dagli egizi, ma anche uno dei cinque sensi (vista, udito, tatto, gusto e olfatto) più uno, cioè il pensiero.

Il fatto che il pensiero fosse considerato uno dei sensi è molto interessante, così come lo è il fatto che il segno che lo rappresentava fosse proprio il sopracciglio posto al di sopra dell’occhio, mentre la vista era chiaramente la pupilla al centro.

Ecco L’Occhio composto delle sue varie parti: Di queste porzioni, l’1/2 era l’olfatto, l’1/4 ovviamente la vista, l’1/8 il pensiero, l’1/16 l’udito, l’1/32 il tatto ed infine l’1/64 il gusto.
Se però facciamo la somma di tutte queste parti, non otteniamo 64/64, ovvero un intero, bensì 63/64. Che fine ha fatto quell’1/64 mancante?
Non è possibile percepirlo e tantomeno misurarlo: è la magia che Thoth ha utilizzato per ricostruire l’Occhio di Horus.

La magia dei nomi

Gli hekau erano incantesimi davvero potenti e perciò bisognava fare molta attenzione! In antico egizio, il nome si dice ren, parola usata anche per indicare il nodo, infatti il nome proprio di una persona era importantissimo e chiunque ne fosse a conoscenza sarebbe stato in grado di legarla e soggiogarla.

Quando un bambino veniva alla luce e succhiava per la prima volta il latte materno, Renenutet, la dea cobra, gli conferiva il suo nome proprio, che sarebbe stato meglio tenere segreto per evitare che il piccolo cadesse nelle mani di qualche potente stregone.

Anche Ra, il grandioso dio solare, farà di tutto per impedire a Iside di conoscere il suo vero nome, ma Iside poteva contare su un alleato davvero potente, cioè Thoth, il signore della conoscenza. Solo quando Ra venne minacciato da Iside, la quale conosceva il suo vero nome, il suo nodo, e lo aveva quindi in pugno, si decise a mostrarsi benevolo verso il giovane Horus, che chiedeva agli déi di aiutarlo a vendicare la morte di suo padre Osiride.

Un pezzetto di Luna

Quando Nut (il cielo) era incinta dei figli di Geb (la terra) e non poteva partorire a causa di una maledizione di Ra, fu sempre Thoth a trovare una soluzione. Si recò da Khonsu, il giovane dio lunare, e lo sfidò a una partita al gioco del senet ( immagine sotto ). Gli disse che, se avesse vinto, Khonsu avrebbe dovuto donargli un settantaduesimo del proprio argenteo astro. Non sembrava molto, quindi il dio della Luna accettò e, come c’era da aspettarsi, perse la partita contro l’astuto Thoth.

Thoth vinse dunque 1/72 del bagliore lunare, quindi una porzione di Luna.

Considerando che la Luna è un cerchio, e quindi ha un raggio di 360°, Thoth ne aveva vinta una frazione equivalente a 5°. Il calendario egizio allora era di matrice lunare e contava proprio 360 giorni, e Thoth in questo modo aveva vinto una fetta di tempo: 5 interi giorni!

Ra, geloso di Geb, aveva maledetto Nut, dicendole che in nessun giorno dell’anno avrebbe partorito i suoi figli, ma ora Thoth aveva creato 5 giorni extra, che vennero considerati speciali, al di fuori del normale anno, e furono chiamati giorni epagomeni. Li donò a Nut, la quale li utilizzò per generare Iside, Osiride, Seth, Horus l’Antico e Nefti, i più importanti dèi del pantheon egizio.



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Alkemill / LilithEye 🌕🌖🌗🌘🌑🌒🌓🌔👁

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