PARMENIDE parte 2
Gli attributi dell'essere
Avendolo concepito in termini assoluti (come essere assoluto), cioè in maniera logica e non sensibile, fisica, Parmenide definisce di conseguenza gli attributi, ossia le proprietà, le caratteristiche, dell'essere.

In secondo luogo, l'essere è eterno immutabile, immobile. L'essere è eterno, ossia ingenerato ed incorruttibile, perché se fosse stato generato, se avesse cioè avuto un inizio, sarebbe dovuto derivare da un non essere, il che è assurdo poiché il non essere non è, è niente; oppure sarebbe dovuto derivare da un altro essere, il che è impossibile essendo l'essere unico. Neppure è corruttibile, ossia destinato a perire, perché non può andare nel non essere.
In terzo luogo, l'essere è compiuto perché non manca di nulla e quindi è perfetto.
Infine, se l'essere è perfetto e compiuto allora è limitato e finito, simile a una sfera perfetta. Nell' antichità infatti, come già premesso, l'idea di perfetto coincideva ed era collegata ad entità complete e finite, mentre l'idea di infinito coincideva ed era collegata all'idea di indefinito, cioè di indeterminato e di incompiuto, e perciò imperfetto.Qui va detto, peraltro, che Parmenide usa il verbo essere esclusivamente nel senso sostantivato di "esistere". Ignora, cosa tipica a qull’epoca, il significato e la funzione anche copulativa del verbo essere, che non significa soltanto esistere, ciò che esiste, ma che serve altresì ad unire un sostantivo ad un predicato; in questo senso allora vi sono numerosi modi di essere (è bello; è brutto; è giusto; è sbagliato; ecc.). Parmenide conserva invece l'abitudine di sostantivare il verbo essere, che diventa l'essere, cioè la reificazione (trasformare in cosa) di un concetto, che avviene quando si scambia e si trasforma un concetto astratto in oggetto concreto, dimenticando che, come dice il filosofo Fuerbach, "gli oggetti sono dati ma i concetti sono posti". La copula si applica ad un sostantivo e non ha senso applicarla ad un verbo, nel caso al verbo essere, quantunque sostantivizzato. Dire che l'ente è ha senso, ma dire che l'essere è non ha alcun senso, è vuota tautologia (ripetizione del medesimo significato).
In effetti, interrogandosi sul non essere, cioè ponendo la domanda "che cos'è il nulla?", Parmenide si imbatte nel "paradosso del non essere". Da un lato infatti il non essere è niente per sua stessa definizione; dall'altro esso però è anche qualcosa: è appunto il non essere. È questo un paradosso che, secondo la moderna filosofia analitica del linguaggio, smaschera l'illusione metafisica dell'essere e del non essere. Ossia il paradosso prova che, benché siano molti gli esseri e i non essere relativi (cioè il non essere una cosa perché si è una cosa diversa) non c'è invece alcun Essere o Non Essere assoluti. La terza via, quella delle apparenze plausibili o dell'opinione possibile . Nella seconda parte del suo poema, di cui però è rimasto molto poco, Parmenide parla anche di una terza via della conoscenza, quella della apparenza plausibile o della opinione possibile, riconoscendo la validità di un certo tipo di discorso con il quale cercare di spiegare anche la realtà sensibile, ossia i fenomeni e l'apparenza delle cose, purché non in contrasto col fondamentale principio di non contraddizione, ammettendo insieme sia l'essere che il non essere. Questa terza via consisterebbe nello scartare le opinioni meno convincenti per mantenere invece quelle più plausibili. È però evidente che si tratta di un tentativo destinato ad urtare contro insuperabili contraddizioni, dal momento che è difficile ammettere la contemporanea sussistenza dell'essere e del non essere. Le teorie di Parmenide, per il loro carattere innovativo e poiché assolutamente contrarie al senso comune, provocarono enorme stupore e suscitarono vivaci polemiche, specialmente perché negavano la molteplicità degli esseri, degli enti, nonché il loro divenire, cose ritenute invece del tutto evidenti in base all'esperienza. I discepoli di Parmenide, in particolare Zenone e Melisso, si proposero allora, per rafforzare la teoria del loro maestro, di dimostrare con esempi concreti, ricorrendo a paradossi (dimostrazioni lontane dal senso comune e dalla generale esperienza), che la molteplicità e il divenire degli enti non sono reali ma solo apparenti, mentre reale è solo l'essere unico e immutabile, come sostenuto, appunto, da Parmenide.